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L'impostore
Zadie Smith


Ricordo che leggendo nel 2006 "Sulla bellezza" (nella traduzione italiana di Bernardo Draghi) ho provato una profonda invida. Come poteva una autrice così giovane (aveva trent'anni allora, ma aveva esordito con "Denti bianchi" a 25) scrivere così bene da non permetterti di smettere facilmente anche se quello che stavi leggendo ti coinvolgesse o interessasse sempre appieno?. Non è questione solo di forma, ma di intelligenza che traspare in modo delizioso dalle sue pagine, dai personaggi e dai mondi che descrive e in cui fa emergere con perizia riflessioni e questioni sociali, politiche e antropologiche. Il suo ultimo libro "L'impostore" usa il genere del romanzo storico per deformarlo e destrutturarlo sia formalmente (organizzandolo in capitoli piuttosto corti che rimbalzano tra momenti e personaggi diversi della vicenda) sia nei personaggi e nei punti di vista che interagiscono. E' una donna intelligente e libera il centro del libro che permette una ricostruzione dettagliata della società vittoriana, della sua vita culturale e delle sue ipocrisie e menzogne. E contemporaneamente il centro è un caso giudiziario che come pochi altri riuscì a conquistare l'attenzione di grande masse di spettatori appassionati: il caso di un rozzo macellaio che rivendicava di essere Roger Tichburne, il nobile scomparso con la sua nave molti anni prima che si presenta alla famiglia per rivendicare i suoi diritti economici ed ereditari. Una menzogna piuttosto evidente che però diventa la lente amplificatrice dei contrasti sociali e di classe nell'Inghilterra di fine ottocento. E dal caso giudiziario emerge un altro centro: il principale testimone a favore del macellaio è un ex schiavo giamaicano (con ovvio rimando alle origini di Zadie Smith, che giamaicana lo è a metà) poi diventato servitore della famiglia Tichburne e che a sua volta rivela l'aspetto rimosso dell'Inghilterra di allora: il colonialismo e la sofferenza delle popolazioni ridotte in schiavitù dai conquistatori europei. E su tutto questo, tenuto assieme da una prosa che (come dice Alice Landronio recensendo il libro) riesce ad unire scorrevolezza e profondità aleggiano le domande centrali su cosa è verità e cosa menzogna, su chi sono i veri impostori, sulla produttività sociale e culturale della menzogna come scardinamento delle consuetudini e delle ipocrisie.