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Palazzina LAF
Michele Riondino


Michele Riondino è tarantino, quindi i molteplici problemi legati alla storia dell'ILVA di Taranto li conosce da vicino. E il suo è un cinema appassionato, che tocca nervi scoperti della storia recente italiana. Ancor prima delle questioni legate all'inquinamento e alla salute del territorio e dei suoi abitanti (ma la tosse del protagonista ce li ricorda sommessamente) il film racconta la storia uno dei casi più eclatanti (e il primo a portare ad un processo che ha visto la condanna dei vertici aziendali) di mobbing verso una settantina di lavoratori perlopiù specializzati che rifiutandosi di seguire le direttive dell'azienda, passata in quegli anni alla proprietà della famiglia Riva ed in fase di ristrutturazione, o essendo sindacalizzati e riottosi veninvano confinati nella decadente e squallida Palazzina LAF a vivacchiare senza fare nulla,per spingerli alle dimissioni o ad accettare il demansionamento. Il protagonista è Caterino Lamanna (interpretato dallo stesso Riondino), un operaio che lavora alla pulizia delle vasche dell'impianto industriale, pittosto stolido e figlio della frantumazione di ciò che una volta era la coscienza di classe, interessato solo a sottrarsi al lavoro pesantissimo che fa e magari conquistare qualche miglioramento individuale per poter cambiare casa e sposarsi o anche solo per farsi bello con gli altri. Viene reclutato da un viscido galoppino dei vertici aziendali (un Elio Germano qualche volta eccessivamente grottesco) per fare la spia nei confronti dei colleghi e del sindacato e riesce finalmente a farsi trasferire (a patto di riferire tutto quello che succede lì) alla Palazzina LAF, in cui non si lavora ma si vegeta tutto il giorno, inventandosi qualsiasi cosa per non impazzire. Nessuna redenzione illuminerà Caterino anche quando si renderà conto dell'inferno in cui è stato catapultato. Sarà un Giuda senza vergogna, convinto di essere in credito con il mondo e che tutto gli sia permesso per ottenere i suoi miseri avanzamenti. Come ha detto qualcuno parafrasando il titolo del film di Petri a cui idealmente si riaggancia, in questo caso la classe operaia va in Purgatorio (oppure direttamente all'Inferno).
Il film non è esente da difetti: una tendenza al macchiettistico nella tipizzazione dei personaggi e una recitazione talvolta un pò sopra le righe però non impediscono a "Palazzina LAF" di essere riuscito a gettare uno sguardo verso una realtà come quella del lavoro in fabbrica (spesso ignorato come se non esistesse più e non avesse più un ruolo e problemi gravissimi), alle ingiustizie e ai rapporti devastanti di potere. Un film che riesce a coniugare commedia all'italiana e impegno civile alla Ken Loach. Un risultato tutt'altro che banale.