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Coltello. Meditazioni dopo un tentato omicidio
Salman Rushdie


La scia di sangue della fatwa emanata da Khomeini nel 1989 nei confronti di Salman Rushdie e dei suoi "Versetti satanici" è copiosa. Nel 1991 fu ucciso nel suo studio il traduttore giapponese del libro. Il traduttore italiano Ettore Capriolo fu ferito a coltellate da un iraniano a Milano. L'editore norvegese del libro ferito da colpi di arma da fuoco. Hanno tentato di uccidere con una bomba lo scrittore stesso, ma l'ordigno è esploso colpendo solo l'attentatore (a cui in Iran hanno dedicato un piccolo mausoleo come "primo martire morto nella missione di ammazzare Salman Rushdie"). Alla fine, nel 2022 sono finalmente riusciti a colpire l'autore del libro "blasfemo": durante una conferenza un uomo lo ha più volte accoltellato Salman Rushdie è sopravvissuto (probabilmente più per l'imperizia dell'attentatore che per altro) ma ha perso l'occhio destro e l'uso parziale di un braccio, dopo aver dovuto affrontare una lunga e dolorosa degenza. "Coltello" (uscito per Mondadori nella traduzione di Gianni Pannofino) è la risposta di uno scrittore all' evento traumatico a tutta la sofferenza di un percorso riabilitativo estenuante e complicato e un ringraziamento a tutti coloro che l'hanno circondato d'amore e sostenuto. Non è un racconto terapeutico, ma la resa poetica di chi per anni ha fatto ogni sforzo per non farsi definire dalla persecuzione subita e che ha cercato di difendere la validità dei suoi libri senza dover essere indicato come simbolo della minaccia del fanatiscmo religioso. Una resa che fa di questo libro il coltello che lo scrittore può usare per combattere quello affilato che lo ha ferito, che accetta il destino da cui non può fuggire. Quello di essere il simbolo della libertà e dell'amore in contrapposizione alla violenza e al totalitarismo. Con dolore e ironia ripercorre l'evento traumatico e le lunghe sofferenze, rivendicando la sua vittoria del ritono alla vita grazie all'amore di cui è circondato che è più grande dell'odio fanatico. Un inno alla libertà che dà al'opera il suo senso più vero e che gli permette di brillare al di là della lentezza del racconto e talvolta l'apparente superficialità di alcune considerazioni.