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Lee Morgan
Tom Perchard | Odoya
È difficile trasformare una biografia, un tratto
di tempo preciso e rivolto ai profili di una singola persona, in
un segmento storico, capace di comprendere la realtà e il
destino di un popolo. È ancora più complesso quando la
personalità che si va ad affrontare è quella di un jazzista
spesso travolto dalla sua stessa vita, ma sempre coinvolto, per
parafrasare il titolo di un suo disco, da un "sesto senso" che
l'ha portato a condividere istanze sociali e politiche sempre
più rilevanti. l'attenzione verso Lee Morgan, trombettista che
dal 1956 al 1972 ha suonato con tutti i grandi jazzisti
dell'olimpo (dalla lunga e proficua collaborazione con Art
Blakey a quella con Hank Mobley, giusto per citarne un paio)
diventa un libro documentatissimo (e curatissimo, almeno per
quanto riguarda l'edizione italiana) che va ben oltre la stretta
biografia (che comunque è già abbastanza complessa) e diventa un
sorta di sguardo obliquo sul mondo del jazz e per estensione
della cultura afroamericana. Basta citare una piccola polemica
dello stesso Lee Morgan per capire che si tratta di un
territorio in gran parte inesplorato: "Sono sicuro che se
mandassero in onda il jazz e le altre forme d'arte, le persone
le ascolterebbero. Ma non vogliono perché quando le persone
iniziano a pensare, lo fanno sempre di più. Il jazz è una cosa
vera, e deve essere circondata dalla verità". Quella cosa lì (la
verità) qui è facile trovarla, anche se è difficile digerirla.
Consigliatissimo.