Se c’è un disco che merita di essere scandagliato a fondo, più e
più volte, è proprio l'esordio dei Velvet Underground (con Nico
e Andy Warhol). È vero che sull'album della "banana" (e sui
Velvet in generale) è stato scritto e detto di tutto e di più,
ma la ricognizione di Joe Harvard, musicista e produttore
dell'area di Boston ha il , pregio della "leggerezza" e della
varietà delle fonti, attributi che rendono questo libro ricco e
agevole nello stesso tempo. Viene concesso diritto di replica ad
un nome sconosciuto ai più Norman Dolph, che pure ha avuto un
ruolo centrale nella realizzazione del disco che dice: "la prima
reazione al 90% di tutti i quadri che oggi destano ammirazione è
stata: questa non è arte. Bene, c’era gente che pensava che i
Velvet Undeground fossero un residuo di ossido sul retro di un
pezzo di nastro registrato". Vengono recuperati pareri sul
dettaglio da Jonathan Richman ("Ma dove mai hanno trovato quel
suono i Velvet Undeground?") e su aspetti più generali da Rober
Palmer ("Le attività che allora appartenevano a una sottocultura
emarginata sono ora argomenti della cultura di massa") nonché
dai principali interessati. Sintetico e chiarissimo il ricordo
di John Cale: "Eravamo davvero eccitati. Avevamo l'opportunità
di fare qualcosa di veramente rivoluzionario, di combinare
avanguardia e rock'n'roll, di fare qualcosa di sinfonico. Non
importa quanto fosse tutto estremamente distruttivo, per noi era
molto eccitante. Non facevamo che suonare e basta. Cioè, ci
divertivamo".
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