Forse la citazione di Samuel Beckett in fondo al libro ha più di
un senso, ma colpisce nel segno: "Non s'inventa nulla, si crede di inventare, di
evadere, non si fa che balbettare la propria lezione, frammenti di un senso imparato e
dimenticato, la vita senza lacrime, così come la si piange. E poi al
diavolo". È l'ispirazione principale, anche se si trova al capolinea, che
porta Enrique Vila-Matas a ricostruire gli anni intensi e brucianti vissuti a
Parigi sulle orme della Lost e della Beat Generation, ospite di Marguerite Duras.
un'impresa difficoltosa perché "il passato è sempre un insieme
di ricordi, di ricordi molto precari, perché non sono mai veri" e la
sua ossessione per Ernest Hemingway lo porta spesso a sovrapporre epoche e tempi
molto diversi. È la "sensazione di essere in due tempi e in due posti"
che nutre un po' tutte le pagine di Parigi non finisce mai perché Enrique
Vila-Matas si dibatte tra l'estenuante tentativo di diventare uno scrittore, la
vita rutilante di una città che non dorme mai e sprizza arte da ogni angolo
e le pressioni della famiglia che dalla natìa Spagna non cessa un secondo
di tormentare le sue velleità. Di solito è così per tutti e
Enrique Vila-Matas si aggrappa al suo strambo processo di identificazione con
Ernest Hemingway non tanto per emularlo o imitarlo, quanto per prendersi la
libertà assoluta di scegliersi una faccia e una personalità.
Consigliatissimo. |
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