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Devils & Dust

Bruce Springsteen | Columbia

Elgin Avenue Breakdown

Verrebbe da dire: a Ovest niente di nuovo. Il deserto, la polvere, i demoni dell'America sconfitta e tradita, le drammatiche migrazioni dal Messico. Tutto già visto in Nebraska e, soprattutto, in The Ghost of Tom Joad. Invece, Devils & Dust è ancora una volta una sorpresa, a patto di non sezionarlo canzone per canzone, strumento per strumento e di evitare la discussione se è meglio Bruce Springsteen con la E Street Band o senza, acustico o elettrico (un dibattito che non porta da nessuna parte). Il viaggio da Devils & Dust a Matamoros Banks porta direttamente nel cuore di tenebra della promised land: si parte dalle rovine (morali, perché quelle materiali sono già finite nella spazzatura) dello skyline di New York e si arriva sulle rive di un fiume che è frontiera e speranza, ma anche il solco netto di una sconfitta, di una ferita. In mezzo c'è l'America lost & found, la wilderness, tutte le strade che portano a casa, Robert Johnson e Johnny Cash, i losers che scappano di città in città e i migranti che arrivano dal sud, alla disperata ricerca di un lavoro, di un forma di sopravvivenza. La mappa tracciata da Devils & Dust decreta la fine di un sogno e riporta tutto all'essenza della terra, della polvere, di un viaggio dentro nowhere, quei luoghi abbandonati da tutto e da tutti che sono l'ultima meta della corsa di Bruce Springsteen. Il grande romanzo americano del rock'n'roll, davanti ai dilemmi di tempi paradossali e senza guide, trova l'unica indicazione possibile: verso le radici, l'inizio di tutto, seguendo la libertà delle canzoni e delle storie che raccontano un viaggio indispensabile e persino profetico.

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