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The Rising
Bruce Springsteen | Columbia/Sony
In un mondo ridotto ad una sorta di commedia dell'arte, una specie di Broadway a tutto campo condita con un'effervescenza pop, Bruce Springsteen non poteva esimersi dall'affrontare l'apice di una crisi d'identità che è maturata l'undici settembre 2001. L'ha fatto con un album voluminoso (in tutti sensi) e, curiosamente, con il suo disco più radicale di tutti i tempi. Una scelta di campo che non è politica (e la disinformazione è continuata: qualcuno ha gridato vendetta, qualcun altro ha detto che Bruce ha scelto Bush) ma umana, con tutta la forza dell'umanità di cui ancora dispone il rock'n'roll. Paradossalmente, nonostante tutti i fantasmi e gli incubi di cui si fa portavoce, The Rising è un disco carico di speranza, fede, coraggio, perché dal fondo di può soltanto risalire, come sembra suggerire anche il titolo. E' proprio la musica, il rock'n'roll, la E Street Band (e Brendan O'Brien, il cui ruolo di produttore non è da sottovalutare) la forza di questo disco, bello e importante: un suono capace di contenere abbondanti dosi di american roots music (Into The Fire, il violino in Sunny Day, gli anni Cinquanta di Let's Be Friends), la singolare costruzione delle nuove canzoni ("Le strofe sono blues, i ritornelli sono gospel" ha detto Springsteen presentadole), la splendida rilettura del proprio passato con quell'inno che è Mary's Place e ricche novità nell'introduzione (un coro pakistano e musulmano) di Worlds Apart (straordinaria) e di The Fuse. Una grande risposta alla confusione, all'apatia e a quello che è diventato il mondo, prima e dopo l'11 settembre 2001. Un grande pugno alzato nel nome del rock'n'roll.