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Il gioco preferito
Leonard Cohen | Fazi Editori
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Ha detto Leonard Cohen, un anno prima che Il gioco
preferito vedesse la luce, nell'ottobre 1962: "Abbiamo tutti
molte immagini di noi stessi. è sempre
una sorpresa vedere quale assumiamo".
è attorno a questa semplice deduzione che sembra ruotare il
suo esordio nel mondo della prosa.
Il suo volto di bambino è solo pulviscolo nella neve esattamente
come quello di Lawrence Breavman, il protagonista di Il gioco
preferito in cui non è difficile, anzi, riconoscere lo stesso
Leonard Cohen. è ovvio che il
riferimento comune più esplicito è la morte del padre che
conferisce ad entrambi un'aura particolare, ma è soprattutto il
rincorrere la vita (attraverso la poesia, l'alcool, l'amore, il
sesso) inseguendo un'innocenza che, testimone il tempo, sta
inesorabilmente sfumando.
C'è un verso di una delle più belle canzoni di Leonard Cohen,
Hallelujah (e basta ricordare le versioni di John Cale o di Jeff
Buckley) che rende benissimo il senso e l'atmosfera di tutto Il
gioco preferito: "Ho fatto del mio meglio; non era molto./Non
sapevo percepire e così ho imparato a toccare".
Ecco: Il gioco preferito accarezza veramente quel momento
crepuscolare in cui sogni e realtà tendono a sfumarsi gli uni
negli altri e ha tutte le ragioni Michael Ondaatje quando lo
definisce un lungo poema in forma di prosa.
Del resto, lo dice lo stesso, tormentato Lawrence Breavman alias
Leonard Cohen: "La poesia è una cosa sporca, cruenta, rovente
che all'inizio deve essere afferrata a mani nude" e quindi
toccante è la definizione più logica per questo romanzo di
quarant'anni fa.